le foto a Khina

Ci sono alcune tappe nella vita che sanno di svolta, come quando c’è un repentino cambiamento, un evoluzione, un progresso. Se poi questo è ardentemente desiderato rischia di degenerare in malattia divenendo sviluppo alla maniera in cui oggi lo si intende nella cultura a cavallo tra il XX e il XXI secolo: quella della TV.
L’ingresso di Khina nella mia vita è uno di questi eventi, e cercherò di non farlo degenerare, di usarlo come progresso della mia vita e non solo.
Chi è Khina?
Con un po’ di sforzo è qui a sinistra, tra le mie braccia, tra le mie mani.
Khina non è made in China, ma in Japan.
Khina non è da intendersi come participio passato del verbo chinare, anche se con lei all’occhio spesso lo farò.
Khina è l’evoluzione di Cana, naturale nome sull’onda di Koda e di Yasha, le mie vecchi macchine fotografiche. Ma sembrava un po’ dissacrante paragonarla alla città del primo miracolo di Gesù.
La china è lo strumento con cui mille culture scritte su diverse tipi di carta (ad iniziare dal "Papiro", che poi è il nome della memory card – CompactFlash SanDisk 4GB Extreme IV) sono arrivate a noi, attraverso tradizione orale prima e scritta dopo, con reinterpretazioni, esercizi filologici, bugie e tentativi di ritornare all’origine, all’essenza.
Khina è diventato con la "k" per tribalizzare questo rapporto come di sangue, di carne e nervi con la mia Canon EOS 30D.
A voler essere permaloso sarei uno Yashicanonista visto che monto su Khina oltre al 18–55 Canon fornitomi da Giap (che non ringrazierò mai abbastanza) anche due obiettivi per Yashica, il Makinon 80-200/4.5 e lo Yashica 50/2, ma ci tengo a precisare che non m’interessa essere catalogato come canonista, mi interessa solo fare foto e comunicare attraverso esse, continuare a contemplare o ad indignarmi di questo mondo.

 

Dunque attenti a (non) capitare nella traiettoria della mia Khina.
Buona luce a me!